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Parvovirosi: tutto ciò che c’è da sapere

Se siete proprietari di un cane o frequentate come volontari canili e rifugi, certamente avrete sentito parlare almeno una volta di parvovirosi, una malattia subdola e letale per cuccioli e per soggetti non vaccinati. La patologia ha origine virale ed è caratterizzata da una rapidissima diffusione e da notevole resistenza ambientale: una volta che il virus è entrato in allevamento, canile o rifugio, è molto difficile eliminarlo se non si applicano gli accorgimenti opportuni.

Che cos’è la parvovirosi?

La parvovirosi è tra le più note e diffuse malattie infettive del cane ed è causata dal Parvovirus Canino (CPV-2), comparso in Europa verso la fine degli anni ’70 e diffusosi rapidamente in tutto il mondo nell’arco di soli dieci anni. Come suggerisce il nome, si tratta di un virus molto piccolo, privo di envelope e dotato di un solo filamento di DNA: queste caratteristiche conferiscono al CPV-2 una notevole resistenza ambientale e la capacità di contaminare non solo gli ambienti in cui si trovano gli animali malati, ma anche il loro mantello, le ciotole, i collari, i guinzagli, le scarpe e i vestiti degli operatori e persino gli strumenti usati per pulire e igienizzare le strutture.

Il virus entra nell’organismo ospite per via oro-nasale e nel giro di poche settimane si diffonde in tutto l’organismo, aggredendo gli organi linfoidi e l’intestino tenue, le cui cellule vengono distrutte: si osserva di frequente una grave diarrea emorragica, accompagnata da febbre, disidratazione, vomito, inappetenza che in pochi giorni (da 2 a 5 giorni) possono portare il paziente a morte. Ma non finisce qui: poiché il CPV-2 aggredisce anche gli organi linfoidi, si osserva una linfopenia (carenza di linfociti, una tipologia di cellule del sistema immunitario) e quindi non è raro che un soggetto affetto da parvovirosi contragga anche infezioni batteriche secondarie a causa della carenza di difese immunitarie.

Come prevenire la parvovirosi?

Fortunatamente, esistono vaccini assai efficaci che vengono somministrati ai cuccioli e che vengono poi richiamati nei soggetti adulti per garantire un’immunità che protegga l’animale durante tutta la sua vita. Data la diffusione e la gravità della malattia, il vaccino contro la parvovirosi è attualmente inserito nella categoria core, ovvero dei vaccini caldamente raccomandati che tutti i cani dovrebbero ricevere. Secondo le linee guida WSAVA (2015), la prima somministrazione dovrebbe avvenire tra le 6 e le 8 settimane di età con successivo richiamo a distanza di 3-4 settimane; la terza vaccinazione andrebbe effettuata a 16 settimane, seguita da un richiamo dopo 6 mesi. A questo punto il paziente dovrebbe aver sviluppato un’immunità duratura e i successivi richiami potranno essere effettuati dopo 3/4 anni; per essere davvero certi che il protocollo vaccinale abbia funzionato, è possibile sottoporre l’animale a un VacciCheck: si tratta di un test molto semplice e veloce che può essere effettuato durante la visita clinica e che ha lo scopo di valutare la protezione anticorpale dell’animale nei confronti della malattia.

Ma perché così tante vaccinazioni? Semplice, perché gli anticorpi materni che il cucciolo riceve in parte durante la gravidanza e durante l’allattamento (in particolare con il colostro, ne abbiamo parlato qui) possono interferire con il vaccino: l’organismo utilizza gli anticorpi della madre e quindi il suo sistema immunitario non viene stimolato finché questi continuano a circolare e a proteggere il cucciolo. Questo significa anche che fino a quando l’animale non ha completato tutto il ciclo vaccinale, non può essere considerato protetto e deve essere tenuto lontano da aree cani e altri luoghi a rischio.

Epidemia di parvovirosi in canile: come comportarsi?

La prima cosa da fare è isolare tutti i pazienti infetti e testare con gli opportuni kit diagnostici tutti i soggetti che potrebbero essere entrati in contatto diretto con loro o con oggetti di uso comune potenzialmente contaminati. E’ importante pulire accuratamente gli ambienti, allontanando il materiale organico (per esempio, residui fecali) da ogni fuga delle piastrelle o angolo degli zoccoletti che potrebbero offrire rifugio sicuro al virus; un sistema efficace è quello di utilizzare il vapore. Ma la pulizia non può dirsi conclusa qui: è fondamentale disinfettare ogni ambiente, strumento e oggetto con cui i pazienti infetti sono entrati in contatto; il prodotto più efficace è l’ipoclorito di sodio (candeggina). Si raccomanda di rispettare un periodo di vuoto sanitario e quindi di non inserire nuovi soggetti all’interno delle gabbie o delle stanze contaminate per un arco di tempo che può andare dalle 4 alle 8 settimane; è indispensabile coinvolgere un veterinario per la pianificazione della gestione degli animali e il trattamento speciale degli infetti.

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