Vai al contenuto

Papà: una parola, mille sfumature … e un unico duro mestiere!

Il ruolo del “papà” in natura è sempre stato ritenuto marginale: siamo abituati a pensare che il maschio si occupi soltanto del corteggiamento e dell’accoppiamento, senza preoccuparsi minimamente della prole. Ebbene, con questo articolo vi dimostreremo che non è sempre così. Tutto ciò che leggerete ha preso ispirazione da un libro che consigliamo caldamente: Un’etologa in famiglia, opera della Dott.ssa Federica Pirrone, etologa di gran fama e stimata Professoressa presso l’Università degli Studi di Milano.

Il papà in natura: che duro lavoro!

Curare la prole comporta costi non indifferenti non solo per la femmina, ma anche per il maschio. Scegliendo di ricoprire il ruolo di genitore, gli animali devono fare i conti con un aumento del rischio di predazione e della suscettibilità a infezioni e infestazioni, condizioni direttamente correlate a riduzione della massa corporea. Inoltre, curare la prole implica perdere numerose opportunità di accoppiamento. Vi sono, però, anche dei benefici: le cure paterne aumentano le probabilità di sopravvivenza e migliorano non solo il tasso di crescita della prole, ma anche la fecondità femminile. Coadiuvando le femmine nel ruolo di genitori, inoltre, permettono alle compagne di dedicare più tempo alla ricerca del cibo, il che garantisce una maggiore disponibilità di risorse per la prole attuale e per quella successiva.

La rondine: il padre previdente

Iniziamo con il maschio adulto di rondine, che, contrariamente a quanto si possa credere, ricopre un ruolo attivo e importante all’interno della famiglia. L’aspetto interessante è che questi animali sono assai previdenti e premurosi: infatti, i maschi adulti si preoccupano di arrivare con anticipo nei siti di riproduzione e scelgono, prima ancora di aver incontrato quella che sarà loro compagna, il luogo più adatto per costruire il nido. Quando poi vengono raggiunti dalle femmine, le coppie novelle difendono il territorio prescelto dal maschio e costruiscono un nuovo nido oppure ne “ristrutturano” uno preesistente. Il lavoro del maschio però non termina qui: questo amorevole padre, dopo la schiusa, partecipa attivamente alle cure della prole, nutrendo i pulcini insieme alla madre.

Papà … acquatici!

I ghiozzi sono più sfortunati: essi, infatti, non ricevono alcun aiuto dalle femmine. I maschi di questa specie depositano sul nido il proprio sperma, inglobato in un composto mucoso che si dissolve poco alla volta e libera lentamente gli spermatozoi. Questo rilascio intermittente e prolungato dei gameti, che ha inizio ben prima che la compagna deponga le uova, consente di ottimizzare i tempi, offrendo al maschio la possibilità di pattugliare gli ingressi del nido. Lo scopo? Semplice, difendere il nido e la femmina da predatori o maschi opportunisti, i quali sono soliti intrufolarsi nei nidi altrui e accoppiarsi con le compagne di altri esemplari, con cui sanno di non poter competere.
Non dovete però pensare che soltanto i maschi monogami siano dei buoni padri. È il caso per esempio del pesce combattente, che, bisogna ammetterlo, ha proprio un debole per le femmine e può accoppiarsi con tutte quelle che incontra. Ciò che stupisce è che costruisce dei nidi per proteggere uova ed embrioni ed è in grado di occuparsi contemporaneamente di più nidiate. Difende la prole in modo assai aggressivo, esibendosi in una parata di minaccia che consiste nella completa apertura delle pinne, accompagnata da un allargamento degli opercoli bronchiali, il tutto a bocca socchiusa. In questa posizione avanza minaccioso contro qualsiasi maschio che si avvicini a più di 12 cm dal suo nido.

Quando la paternità riduce l’aggressività

La paternità nel mondo dei mammiferi è quanto mai multiforme e varia notevolmente in base alla specie che si considera. Nel caso degli aotidi, scimmie sudamericane, non solo la coppia resta unita per tutta la vita, ma il maschio riveste anche un ruolo cruciale nell’accudimento della prole. La femmina partorisce una volta all’anno ed è proprio il padre a prendersi cura del neonato per il 90% del tempo; alla madre spetta soltanto l’allattamento. È stato riscontrato che in specie in cui il comportamento paterno è così presente, i conflitti tra i maschi adulti sono molto rari; ciò vale anche per i siamanghi, i tamarini a chioma di cotone, le marmotte e per alcune società umane.

E l’uomo?

Nelle società umane il ruolo del padre nella cura della prole è assai diversificato: in alcune tribù, come quella degli Aché in Paraguay, i padri sono quasi assenti o comunque distaccati, mentre in altre realtà, come quella dei pigmei Aka, i padri sono molto attivi e presenti e trascorrono fino al 22% del tempo con i figli neonati o comunque molto piccoli. La situazione si complica ulteriormente prendendo in esame le società dei Paesi sviluppati e in via di sviluppo, dove la variabilità non si esprime solo tra i gruppi, ma anche tra gli individui. Il responsabile di queste differenze sarebbe proprio il testosterone: svariate evidenze scientifiche hanno dimostrato che gli uomini sposati e con bambini piccoli tendono ad avere livelli più bassi di questo ormone, rispetti ai single o ai mariti sposati senza figli. Tale variazione è più accentuata nei padri particolarmente attenti e premurosi. Ma non finisce qui: nella saliva e nel sangue dei padri umani sono stati rilevati livelli maggiori di ossitocina, parametro che aumenta nei primi sei mesi di vita del bambino, proprio come accade alle mamme.

Se hai trovato questo articolo interessante, continua a seguirci su Vet’s Pills!