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Non solo Coronavirus: parliamo di Influenza Aviaria

Perché l’influenza aviaria è chiamata così? No, non è perché viene un raffreddore ai volatili, né perché hanno la febbre. Oggi ti spieghiamo il motivo del suo nome, come si trasmette e qual è la situazione attuale nel mondo.

Perché si chiama influenza aviaria?

Prima di addentrarci sull’argomento, dobbiamo ricordare che ci sono diversi tipi di virus influenzali i quali appartengono tutti al genere Orthomyxovirus:

  • Tipo A: infettano sia l’uomo che le specie animali, sono i più comuni ma anche i più pericolosi perché possono causare epidemie e pandemie.
  • Tipo B: si trovano solo nell’uomo e determinano una forma di influenza meno grave rispetto al tipo A, anche se possono causare epidemie.
  • Tipo C: provocano una forma di influenza lieve e non sono associate a epidemie o pandemie.

Patogenesi del virus

Troviamo diversi sottotipi di virus che sono stati classificati in due gruppi:

  1. HPAI: visus ad alta patogenicità, hanno elevata mortalità.
  2. LPAI: virus a bassa patogenicità, presenta sintomi lievi e hanno una bassa mortalità, ma sono altamente mutageni e possono trasformarsi in HPAI, quindi è essenziale un corretto controllo sanitario e il contenimento dei focolai infettivi.

L’influenza aviaria (AI) appartiene ai virus di tipo A e colpisce, come dice il termine, le specie volatili. Trova come reservoir gli uccelli selvatici e in particolare le specie acquatiche come cigni, fenicotteri, pellicani e gabbiani. In questi animali il virus non risulta letale, ma ha la funzione di trasportare il virus e quindi di diffondere l’agente eziologico in varie parti del mondo.

La trasmissione avviene più frequentemente tramite contatto diretto con feci e secrezione oro-nasale, mentre è meno probabile la trasmissione indiretta attraverso il contatto di acqua, oggetti o attrezzi contaminati.

La maggior parte degli uccelli selvatici sono migratori: questo favorisce una maggior diffusione del virus e un maggior contatto con varie specie di uccelli. In particolare, gli uccelli domestici (polli, tacchini, oche) rappresentano il passaggio del virus tra gli uccelli selvatici e gli animali domestici. La specie più sensibile è il suino, ma vi sono stati casi in felidi (tigri, leopardi, gatto) e nel cane.

Per quanto riguarda l’uomo, l’influenza aviaria risulta pericolosa per allevatori e veterinari i quali possono avere un contatto diretto con gli animali infetti, mentre non rappresenta una fonde di infezione il consumo di carne e uova, se cotti in modo adeguato.

Esiste ancora l’influenza aviaria?

La risposta è ! Tra il 2020 ed il 2021 ci sono stati 3.777 rilevamenti di influenza aviaria ad alta patogenicità (HPAI) e circa 22.900.000 volatili colpiti in 31 paesi europei.

In Russia, ci sono stati casi di influenza aviaria proprio nelle principali aree di migrazione degli uccelli acquatici selvatici e questo desta parecchia preoccupazione: potrebbe esserci una possibile introduzione di nuovi ceppi virali attraverso gli animali selvatici che migrano in inverno in altri paesi dell’UE.

Inoltre sono stati rilevati diverse infezioni avarie sull’uomo in Cina: tutto ciò ci fa pensare che il virus sta cercando sempre di più di adattarsi ai mammiferi e quindi è in continua mutazione. Per approfondire l’argomento, ecco l’ultimo aggiornamento da parte dell’EFSA pubblicato il 30 Settembre 2021.

La sorveglianza da parte dell’OIE e degli altri organismi coinvolti nel controllo sanitario di cui abbiamo parlato nell’articolo dedicato (vedi articolo qui) risulta quindi essenziale per un corretto monitoraggio sanitario e un corretta gestione del rischio.

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