Parlare di fauna selvatica e di ecopatologia, oggi più che mai, è importante: si stima infatti che circa il 60% delle malattie infettive dell’uomo siano di origine animale e la percentuale sale a 75% se si considerano soltanto quelle emergenti. Ma che strumenti abbiamo per contrastare queste epidemie? Come possiamo tenere sotto controllo la fauna selvatica e quali gli aspetti da considerare? Ne abbiamo parlato con il Dott. Nicola Ferrari, presidente della SIEF e professore del Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano.
Buongiorno Professore, potrebbe spiegarci che cos’è l’ecopatologia? Perché è una disciplina così importante?
Come veterinari siamo abituati ad approcciarci al singolo individuo, nostro soggetto di studio e analisi, quando però ci si mette a studiare gli animali selvatici l’approccio al singolo non è più sufficiente: bisogna considerare le popolazioni nel loro insieme oltre che il loro benessere. All’interno di queste popolazioni esistono una natalità e una mortalità naturali, determinate dalla natura di avere vita libera. Si passa così da un approccio medico-clinico a uno epidemiologico e demografico, rendendocisi conto che le popolazioni sono influenzate da numerosi fattori (clima, predazione e molto altro) e tutti questi aspetti rappresentano il tema e il soggetto di studio dell’ecologia.
Un veterinario che studia la salute delle popolazioni animali non può prescindere dalle conoscenze ecologiche, intese come lo studio delle interazioni degli animali con il loro ambiente e con altri organismi, tra cui i patogeni. L’ecopatologia è quindi lo studio dell’ecologia delle patologie. Questa disciplina si sviluppò a partire dagli anni ’40 e culminò nel 1992 con la fondazione della SIEF. Ѐ importante perché bisogna tenere in considerazione che le patologie determinate da virus e parassiti presenti nell’ambiente possono avere un impatto sia sulla salute animale che su quella umana ed è proprio da qui che nasce il principio di One Health.
Ci ha parlato della SIEF, cos’è? Lei ne fa parte?
La SIEF è la Società Italiana di Ecopatologia della Fauna ed è stata fondata nel 1992 a Torino; il suo primo presidente è stato il Professore Paolo Lanfranchi. Si tratta di una società scientifica e non di formazione, e per entrarne a farne parte serve inviare una domanda di ammissione e il proprio curriculum. Io sono diventato membro nel 1998 e attualmente, fino al termine dell’anno corrente, ne sono anche il presidente.

Di che cosa si occupa la SIEF?
La SIEF si occupa dello sviluppo e dell’affermazione degli approcci per studiare l’ecopatologia, disciplina fondamentale non solo per il controllo della fauna: attraverso la simulazione della crescita animale con modelli previsionali sviluppati da ecologi, è possibile simulare anche la crescita della popolazione di patogeni che si espandono nell’habitat, ovvero tra gli ospiti. Già a partire dalla fine degli anni ’90, la SIEF ha promosso una serie di corsi sulla dinamica delle infezioni delle popolazioni ospite applicando concetti spesso citati in questi ultimi tempi quali l’immunità di gregge, l’R0 e molto altro. Purtroppo, nonostante la presenza di questi modelli e delle simulazioni, a disposizione ormai da molto tempo, il mondo veterinario non se ne è occupato a sufficienza, fino allo scorso febbraio e alla comparsa dell’attuale pandemia. Questo rimane uno dei grandi limiti della veterinaria, ovvero la scarsa valorizzazione dell’analisi e del sistema, più che dell’individuo. La mia speranza è quella che queste tematiche vengano affrontate e sviluppate maggiormente, conquistando sempre più consensi.
Quali sono le figure professionali che maggiormente si occupano dell’ecopatologia e come lo fanno?
Le figure professionali che si occupano dell’ecopatologia sono molte e, oltre ai veterinari, sono presenti biologi, naturalisti, ecologi, epidemiologi e modellisti matematici. Questi studiano le popolazioni selvatiche e il loro benessere. In particolare, prendono in considerazione gli aspetti epidemiologici e demografici. L’interazione tra tutte queste figure è importante perché, oltre alla branca epidemiologica, gestita dal veterinario, anche gli aspetti ambientali e morfologici rivestono un ruolo importante nelle popolazioni selvatiche, ed è qui che entrano in campo le altre figure.
Ѐ facile parlare oggi di fauna selvatica al grande pubblico?
Il problema è soprattutto culturale: l’approccio ecopatologico difficilmente riscuote attenzione, se non interiorizzato dalle persone che se ne occupano e non sviluppato dal punto di vista metodologico. Ancora oggi sussiste la difficoltà di comunicare al pubblico queste problematiche, il ruolo che ogni specie riveste e quali sono le azioni che le determinano: in ambito faunistico queste competenze sono quasi totalmente assenti. Una strategia che è stata adottata in passato, per esempio, è stata assumere delle società di comunicazione, ma per ” i non addetti ai lavori” non è semplice maneggiare le informazioni biologiche.

Qual è la sua idea sull’attuale pandemia? La fauna selvatica ha giocato un ruolo importante?
Da molti anni gli studiosi mettevano in guardia sull’arrivo di una pandemia e sì, la fauna selvatica ha ricoperto un ruolo molto importante, perché è proprio da questa che la malattia ha avuto origine, secondo le teorie più accreditate. Infatti, le infezioni della fauna possono essere anche di tipo zoonotico e si possono trasmettere all’uomo, mettendo in crisi la salute pubblica. Oltre a pesare sulla vita dell’uomo, in secondo luogo, hanno un impatto anche sull’economia. Ad esempio, le stime degli impatti economici dell’influenza aviaria del biennio 1999-2000 parlano di circa 630 milioni di perdite.
Tenendo conto che la fauna selvatica ha giocato un ruolo rilevante nella diffusione del covid, è possibile che in futuro emerga un’altra infezione pericolosa proveniente da animali selvatici?
Si, ciò è possibile. Proprio recentemente la peste suina africana si sta diffondendo nell’Est Europa, a causa dei cinghiali. Nel novembre 2019 su questo problema, che si ritiene essere molto grave, si è tenuto un convegno promosso dalla SIEF. Secondo le stime, tale epidemia è in grado di ridurre il PIL cinese del 2% e ciò causerebbe un crollo del mercato cinese, con ripercussioni sull’intera economia mondiale. E’ molto probabile che la malattia raggiunga anche il resto dell’Europa e sarà un grande problema.
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